Sono Matteo, ho 21 anni e sì, lo ammetto, il mio cognome è un po’ strano: Hallissey (e non vi dico quante volte l’hanno storpiato!). Papà inglese, mamma romana, e io? Beh, sono un melting pot in carne e ossa! Nonostante queste origini, sono nato a Bologna e cresciuto a Monterenzio, un piccolo paese nel cuore dell’Appennino bolognese. Eppure, anche da una realtà così lontana, la politica ha bussato alla mia porta. Non potevo ignorarla.
Dagli ultimi anni di liceo ho deciso di non restare solamente a guardare e ho iniziato a girare l’Italia, facendo casino e cercando di far sentire sempre di più la mia voce. E da lì, con un bel po’ di fantasia e tanta nonviolenza, ho provato a fare la mia parte per scuotere questo paese, impantanato nei soliti problemi, ostaggio delle corporazioni e di una politica che sembra aver perso il coraggio di promuovere le riforme e i cambiamenti che servono.
Ho iniziato anzitutto attivandomi online, partecipando alle iniziative e collaborando con associazioni e realtà come “Liberi, Oltre le Illusioni” ed “EconomiaItalia”.
Nel 2021, ho partecipato alla raccolta firme per il referendum sull’eutanasia promosso dall’Associazione Luca Coscioni. Quell’estate è stata decisiva: raccogliere firme ai banchetti mi ha fatto capire che non volevo essere solo un attivista da tastiera, ma che desideravo buttarmi davvero nella mischia della politica. Da allora, il mio attivismo è diventato militanza, quella “radicale”. Radicale non è solo una parola, ma un modo di essere.
Essere radicali significa mettere al servizio dell’azione politica lo strumento più prezioso che abbiamo a disposizione, il corpo: uno straordinario mezzo di lotta e di disobbedienza, che può essere affamato, colpito, arrestato, dileggiato, ma che resta la più nuda e potente arma contro l’ingiustizia e l’oppressione.
E c’è una cosa che mi ha conquistato subito dei Radicali: non c’è una “giovanile” che ti blocca in attesa del tuo turno. Qui, appena arrivi, ti metti subito in gioco. Così ho fatto io, prima collaborando nello staff comunicazione e alle iniziative politiche di +Europa e poi candidandomi a Segretario di Radicali Italiani, diventando il più giovane segretario di un partito in Italia, alla guida di un Movimento che non ha paura di fare rumore.
Quest’estate, ad esempio, ci siamo fatti notare piantando ombrelloni sulle spiagge in protesta contro le concessioni balneari insieme a Ivan Grieco e, per non farci mancare nulla, sono finito anche malmenato dai tassisti romani mentre manifestavo con una maglietta contenente un concetto semplice quanto rivoluzioniamo: liberalizziamo il settore dei taxi e liberiamoci dalle corporazioni che bloccano il Paese. La nostra protesta non si è fermata: abbiamo lanciato il “free taxi”, un’iniziativa per offrire passaggi gratuiti ai cittadini bloccati in fila, una chiara denuncia contro un mercato chiuso, dove chi vuole mantenere le proprie rendite di posizione blocca qualsiasi riforma che possa aprire alla concorrenza.
Ma non solo. Quest’anno ho anche girato quindici università italiane in poche settimane con il tour “Giovani un cazzo”, per parlare delle vere questioni che ci toccano, dal sistema pensionistico alla salute mentale, passando dal diritto a restare nel nostro Paese senza essere costretti a emigrare. La mia lotta è per la libertà personale e per il diritto di decidere del proprio corpo: eutanasia, aborto, uso di sostanze… sono temi che dobbiamo affrontare senza paura.
Oggi il mio obiettivo è uno: non stare a guardare, ma agire. Voglio portare la mia voce e queste lotte lì dove si può fare la differenza.
Arrivare al cuore delle persone sembra più facile che in passato, soprattutto grazie ai social, eppure spesso non ci riusciamo davvero. È per questo che sono ossessionato dal comunicare, dal trovare nuovi modi per parlare con le persone, per toccare le loro vite, anche solo per un istante.
Cerco di esprimermi in ogni modo possibile: dalla musica alla scrittura. Ogni mezzo che utilizziamo è un’opportunità in più per creare connessioni, per ridurre quella distanza che sembra crescere nonostante la nostra iperconnessione. Ognuno di noi, alla fine, vive le proprie solitudini. E forse solo unendo le nostre esperienze possiamo fare la differenza.